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Il latte

Una delle domande che mi viene fatta più di frequente è: “E’ vero che fa male bere il latti da grandi?”

Riporto qui un articolo di Andrea Strata (Nutrizione Clinica, Università di Parma) pubblicato sulla rivista AP&B di settembre 2015 della Nutrition Foundation of Italy che chiarisce ogni dubbio in merito.

 

Il latte è un componente fondamentale dell’alimentazione per quasi tutta la popolazione mondiale. Oltre al latte di per sé, panna, burro, formaggio, yogurt (e altri latti fermentati) fanno parte della dieta di milioni di uomini, donne e bambini.

La valenza nutrizionale della materia prima e dei suoi derivati è stata negli anni posta in discussione, rilevando non soltanto la sempre più vasta diffusione dell’intolleranza allo zucchero del latte (lattosio) che ne ostacola la digeribilità, ma anche il possibile ruolo negativo associato all’assunzione dei grassi del latte (e dei suoi derivati). Di recente, però, un’accurata revisione della letteratura più aggiornata ha permesso di chiarire alcuni punti controversi, come riassunto anche in questa breve review.

Alla luce delle osservazioni più recenti, latte e derivati devono essere considerati elementi della dieta in grado di incidere positivamente sul rischio di alcune patologie croniche. Assumerebbero perciò una funzione di difesa della salute intesa, secondo l’OMS, come “tutela dello stato di benessere fisico e psichico”. Questi effetti direttamente positivi trovano la loro radice nel consumo regolare di latte e derivati fin dall’infanzia e si riverberano positivamente soprattutto nella cosiddetta “età di mezzo”, cruciale per la comparsa di alcune malattie cronico-degenerative, nei confronti delle quali proprio l’assunzione regolare e bilanciata di prodotti lattiero-caseari svolgerebbe una funzione protettiva non secondaria.

D’altro canto, basta considerare la composizione (Tab. 1) del latte vaccino per cogliere la varietà e la positività degli elementi costitutivi di questo alimento, tali da giustificare gli effetti benefici rilevati per un consumo abituale, anche dei suoi principali derivati, soprattutto yogurt, altri latti fermentati, formaggi.

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Il controllo ponderale

Le osservazioni sul rapporto tra assunzione di calcio e vitamina D, soprattutto se contenuti in latte e derivati, e riduzione ponderale non sono di oggi. Sono recenti invece le evidenze che associano l’assunzione delle proteine del latte (e dei suoi derivati) con effetti favorevoli sulla riduzione della massa adiposa, anche a livello viscerale sia in soggetti sani, sia in sovrappeso/obesi. Oltre alla caseina, le altre proteine presenti nel siero del latte agiscono 7 attraverso vari meccanismi, tra i quali si segnala la riduzione dell’appetito e lo stimolo del senso di sazietà.

Ricordiamo che il dimagramento (inteso come perdita di massa grassa), in particolare a carico della massa adiposa viscerale, rappresenta l’intervento prioritario anche per la prevenzione/ controllo di patologie: dal diabete, alla sindrome metabolica, dalle iperdislipidemie, all’ipertensione, alle cardiovasculopatie spesso correlate/ conseguenti.

Più in dettaglio, sono da citare alcune evidenze di studi clinici: per esempio, le proteine del siero di latte, assunte prima di un pasto, stimolano il rilascio di insulina e riducono le fluttuazioni della glicemia post-prandiale in giovani sani, ma soprattutto in diabetici di tipo 2 alimentati con un pasto-test a base di pane e patate, cioè ad alto indice glicemico (IG). In questi soggetti la riduzione della risposta glicemica è stata del 20% circa rispetto a controlli che non avevano assunto le proteine: una diminuzione percentuale simile a quella che si ottiene con le sulfaniluree.

Gli oligosaccaridi

Nel latte umano sono presenti sostanze potentemente bioattive: gli oligosaccaridi, formati da un nucleo di lattosio (lo zucchero del latte), che si lega ad altre molecole (il fucoso o N-acetilglucosamina e l’acido sialico). Da questo legame emergono gli effetti determinanti che il latte materno ha sullo sviluppo sia del microbiota intestinale, sia del sistema immunitario del lattante, oltre che sullo sviluppo della capacità, da parte della mucosa intestinale, di contrastare l’attacco dei batteri.

La presenza di oligosaccaridi analoghi a quelli contenuti nel latte umano è stata peraltro rilevata anche nel latte bovino, in maggior concentrazione, come ci si può attendere, nel colostro. La loro concentrazione nel latte progressivamente si riduce. Ed è per questo che l’industria lattiero- casearia sta mettendo a punto le tecnologie in grado di isolare, concentrare e rendere disponibili in quantità sufficiente questi ingredienti funzionali anche nel latte vaccino destinato al consumo umano abituale.

Questo perché gli oligossaccaridi hanno funzione prebiotica: stimolano cioè la crescita di bifidobatteri e lattobacilli ( cioè di “probiotici”), in grado di contrastare la flora batterica intestinale potenzialmente dannosa, in quanto inducono, nell’intestino, la creazione di un ambiente acido sfavorevole alla proliferazione di clostridi, enterococchi, eubatteri, enterobatteri e così via.

Da segnalare altri due studi: il primo ha evidenziato come, in donne sovrappeso/obese in premenopausa, 4 anni di dieta ipocalorica associata al consumo di latte e derivati, abbiano indotto una particolare diminuzione del tessuto adiposo viscerale e un aumento della massa magra.

Il secondo, condotto su un migliaio di adolescenti sani di 15-16 anni, ha evidenziato come l’assunzione di almeno due porzioni di latte e latticini al giorno (200 ml di latte o 125 g di yogurt o 28 g di formaggio), induca un significativo calo ponderale e una riduzione delle percentuali di massa grassa, oltre che un chiaro effetto protettivo nei confronti dello sviluppo dell’obesità addominale nei maschi.

Infine, tutti questi dati sono stati sostenuti da un’ampia metanalisi condotta ad Harvard considerando 29 ricerche, nella quale si conferma l’effetto positivo sulla riduzione ponderale indotto dal consumo di latte e derivati, assunti all’interno di diete ipocaloriche.

Metabolismo glucidico

E’ ormai accertata la relazione esistente tra consumo latte e derivati a ridotto (ma non assente) contenuto lipidico e la diminuzione del rischio di diabete di tipo 2. Addirittura, dopo 10 anni di osservazioni su oltre 37 mila donne (Women’s Health Study, condotto dall’Università di Harvard) è emerso che, per ogni porzione in più al giorno di latte e latticini, il rischio di sviluppare diabete si riduce del 4%.

Tali effetti sarebbero riconducibili a più azioni indotte dall’alimento nel suo complesso e dai prodotti derivati: dall’aumento della risposta insulinica già citato, alla riduzione delle fluttuazioni glicemiche, all’aumento della secrezione di ormoni che stimolano il senso di sazietà.

A esercitare tali effetti concorrerebbe sia la frazione proteica, sia quella lipidica del latte (e derivati). Non è un caso che le revisioni attuali sugli effetti positivi del latte abbiano rivalutato proprio la frazione lipidica dell’alimento, sottolineando l’opportunità di riservare a pochi casi particolari il consumo di latte totalmente privato di grassi.

Ulteriori conferme vengono dal ben noto Nurses’ Health Study II, condotto su 37.083 donne seguite per 7 anni negli Stati Uniti: il consumo di latte e latticini durante le scuole superiori è risultato direttamente proporzionale alla riduzione del rischio di diabete di tipo 2 in età adulta. Con due porzioni al giorno, la riduzione del rischio era del 38%; il consumo costante anche di in età adulta potenziava l’effetto.

Veniamo all’Europa. Alcune analisi dell’EPIC – Study InterAct (European Prospective Inve- stigation into Cancer and Nutrition) che ha coinvolto in totale 340.234 soggetti, hanno riguardato un sottogruppo di 16.835 adulti sani, a confronto con 12.403 diabetici di 8 nazioni, rilevando che 55 g di formaggio o di yogurt al giorno si associano a una riduzione del 12%, nei sani, della comparsa di diabete di tipo 2 .

Infine, il multi-Ethnic Study of Atherosclerosis (MESA), ha confermato, in 2.617 adulti, la mi- nor incidenza, pari al 20%, di diabete di tipo 2 15, correlata all’assunzione di latticini, in- dipendentemente dal sesso, dall’etnia e da altri fattori (età, abitudine al fumo, BMI e così via).

Si può quindi affermare che esiste una relazione inversa tra consumo di latte e latticini e rischio di diabete di tipo 2, attribuibile alla modulazione del metabolismo esercitata dagli alimenti nel loro complesso, grazie alla compresenza di calcio, vitamina D, proteine del siero, magnesio e di una particolare composizione lipidica.

Effetti positivi sulla pressione

Le proteine del siero di latte risultano dotate anche di una attività peculiare nei confronti della pressione arteriosa. L’attenzione si è focalizzata su peptidi (cioè frazioni di proteine) bioattivi, derivati dalle proteine native grazie all’azione di batteri presenti nei prodotti fermentati del latte, oppure direttamente durante i processi digestivi intestinali a opera del microbiota (flora batterica).

Tali peptidi sarebbero dotati di attività ACE- inibitoria, in grado cioè di inibire l’enzima di conversione dell’angiotensina (Tab. 2), ma caratterizzati da un rischio minimo di effetti collaterali rispetto ai farmaci.

Una pubblicazione statunitense del National Institute of Health – US Department of Agriculture – Center for Nutrition Policy and Promotion del 2011, ha fornito poi ulteriori conferme sul rapporto tra consumo di latticini ed effetti antipertensivi, anche in senso preventivo.

L’azione positiva sui livelli pressori si evidenzia persino nell’infanzia: uno studio australiano ha rilevato l’effetto protettivo del consumo di latte a 18 mesi rispetto ai valori pressori rilevati successivamente, soprattutto nel sottogruppo di bambini che consumava almeno due porzioni di latticini al giorno, sia a 18 mesi che a 9 anni.

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Infine, va ribadito che, in tutti gli studi, la correlazione inversa e lineare tra consumo di latticini e controllo pressorio si mette in luce per prodotti a ridotto tenore lipidico, ma non totalmente scremati.

Colesterolemia

Uno studio da poco pubblicato sul rapporto tra lipidi di latte e latticini e livelli ematici di colesterolo, ha messo in luce un aspetto a volte trascurato: ovvero l’importanza di valutare la matrice dell’alimento. Infatti, paragonando la variazione di colesterolemia in due gruppi di persone sane e sovrappeso, che avevano consumato per otto settimane 40 g al giorno di latticini sotto forma di panna oppure di burro, si è visto che nel primo gruppo non si erano osservate fluttuazioni di rilievo, mentre nel secondo gruppo si era registrato un aumento delle concentrazioni di colesterolo.

In effetti, è vero che i grassi del burro sono presenti in gran parte liberi, cioè non contenuti nei globuli che li racchiudono invece nel latte, materia prima di partenza. La membrana di questi globuli è composta in gran parte da fosfolipidi e proteine: la differenza di effetti che i grassi di latte e latticini hanno sui livelli di colesterolo e di trigliceridi nel sangue dipenderebbe proprio dalla loro maggiore o minore presenza.

Queste osservazioni completano i dati raccolti nei decenni precedenti, durante i quali si era ipotizzato che fossero più di uno gli elementi che contribuivano a determinare l’associazione inversa tra consumo di latte, yogurt e formaggi fermentati/stagionati (a normale contenuto lipidico) e migliore profilo lipidemico (aumento della frazione HDL, riduzione dei trigliceridi): la presenza di calcio e proteine, di batteri benefici nei vari prodotti (latti fermentati, yogurt, formaggi stagionati e fermentati), affiancati dall’intervento metabolico positivo operato dal microbiota intestinale. Si ipotizza infatti che il calcio e i grassi dei formaggi (con il concorso di proteine e batteri) formino, nell’intestino, composti insolubili (saponi), escreti con le feci.

Tant’è vero che l’escrezione fecale dei grassi risulta molto inferiore in chi consuma burro, rispetto a chi assume formaggio (il confronto è stato condotto per sei settimane tra il consumo di 47 g di burro/die verso 143 g di fromaggio/die, con pari contenuto di lipidi) e, in parallelo, il profilo lipidemico peggiora nel primo caso rispetto al secondo.

A commento di tali riscontri, ricercatori e clinici si chiedono oggi se non sia il caso di modificare gli attuali suggerimenti e consigli dietetici relativi all’apporto di grassi saturi con i latticini, prevedendo l’inclusione di moderate quantità di formaggio anche nella dieta di soggetti con valori di colesterolemia moderatamente elevati.

Arterie, cuore e cervello

Sicuramente, una pietra miliare in questo ambito è stata posta nel 2010 dalla riunione di esperti mondiali tenuta a Copenhagen (Dipartimento di Nutrizione Umana della locale Università) su “Il ruolo della ridotta introduzione di grassi saturi nella prevenzione delle cardiovasculopatie”. Proprio per quanto riguarda latte e derivati, gli esperti conclusero che «sulla base di vari studi epidemiologici, non esistono convincenti evidenze che un elevato apporto di prodotti lattiero caseari sia associato a un maggior rischio di cardiovasculopatie. Anzi, la componente lipidica del formaggio può esercitare effetti benefici sia per il particolare profilo lipidico (presenza di acido rumenico, acido transvaccenico, acidi grassi a catena corta) sia per- ché associata a calcio, sieroproteine ed altri componenti».

Le cardiovasculopatie sono spesso associate/ aggravate/causate dalla “sindrome metabolica” (contemporanea presenza di obesità, soprattutto viscerale, ipertensione, dislipidemia), le cui origini vanno ricercate soprattutto nell’alimentazione. è infatti su questo versante che si sono focalizzate le ricerche. In una review di studi osservazionali è così emerso che il consumo di latticini contribuisce alla prevenzione della sindrome metabolica e delle sue conseguenze: 3-4 porzioni al giorno di latte e derivati si sono dimostrati sufficienti a ridurne in modo significativo il rischio. Altri studi hanno rilevato la capacità dei latticini di ridurre il rischio sia di coronaropatie, sia di ictus.

Una delle interpretazioni più suggestive per questi risultati fa riferimento alla composizione complessiva degli alimenti contenenti grassi saturi: per esempio, 10 anni di osservazioni su 5.209 soggetti (2000-2010), che avevano un apporto dietetico medio di lipidi saturi pari al 10% delle calorie giornaliere, hanno messo in luce che privilegiare latte e latticini portava a ridurre il rischio di cardiovasculopatia, mentre uno sbilanciamento verso l’assunzione di grassi saturi da carne bovina aveva effetto contrario: per ogni 5 g/die di grassi saturi in più derivati dal latte il rischio si riduceva del 21%, aumentando invece del 26% per ogni 5 g/die in più di grassi saturi della carne bovina 23.

Senza citare tutti gli ulteriori studi condotti in questo ambito, si può affermare che, nel complesso, i risultati sono decisamente favorevoli al consumo di latte e latticini.

Dal punto di vista pratico, questo significa che si tratterà di scegliere latticini a ridotto contenuto di grassi (ma non del tutto scremati) e/o fermentati, che hanno ottenuto i maggiori consensi e le più convincenti dimostrazioni.

Effetti sulla memoria e la cognitività

Forse lo studio più interessante in questo ambito è stato condotto in Inghilterra a partire dal 1930 e per 65 anni 24, dimostrando, per la prima volta, la positiva associazione tra consumo di latte durante l’infanzia e la prestazione fisica del soggetto nella terza e quarta età. La ricerca comprendeva inizialmente 5.000 bambini inglesi: seguiti per 65 anni, il campione si è man mano ridotto, ma a tanti anni di distanza è stato possibile rilevare che la velocità di deambulazione e la capacità di mantenere l’equilibrio, erano significativamente migliori nei soggetti che, a partire dall’infanzia e per tutta l’età adulta, avevano assunto almeno un bicchiere di latte al giorno. Il mantenimento nel tempo di equilibrio e rapidità di movimento sono, ricordiamo, strettamente correlate a una migliore cognitività.

A questo proposito si può citare un altro studio, condotto su 469 studenti ambosessi, in cui sia il rendimento scolastico, sia le performance fisiche erano migliorate dopo tre mesi di assunzione giornaliera di 250 ml di latte.

Secondo ulteriori studi sarebbe sufficiente un bicchiere (200 ml) di latte al giorno, per proteggere nel tempo dal decadimento neuropsichico, verosimilmente attraverso la riduzione, alla quale si è già fatto cenno, dei noti fattori di rischio cardiovascolari correlati, appunto, al mantenimento dello stato cognitivo.

I dati sul rischio oncologico

Il latte e i prodotti lattiero caseari contengono, com’è stato segnalato in apertura, macro e micro- nutrienti oltre ad altri costituenti bioattivi, che entrerebbero anche nella modulazione del rischio e della progressione dei tumori. Ma le ricerche non sono ancora conclusive e si continua a lavorare. Per quanto riguarda il tumore alla mammella, per esempio, si può concludere che il consumo di latte e derivati non ne aumenta il rischio e che, al contrario, l’assunzione di prodotti a ridotto contenuto di grassi (in questo caso si parla proprio di latte scremato), in donne in premenopausa, potrebbe ridurlo.

Dalla coorte italiana dello studio EPIC 26, che ha controllato per 12 anni 45.241 soggetti (14.178 uo- mini e 31.063 donne), di 5 città (Varese, Torino, Firenze, Napoli e Ragusa) emerge la correlazione tra aumento del consumo di yogurt (da zero g/ die a una media di 85 g per gli uomini e 98 g/die per le donne) e riduzione del rischio di cancro colon-rettale, soprattutto tra gli uomini. Purtroppo, mancano dati definitivi sul rapporto tra consumo di latticini e aumento del rischio di cancro alla prostata, mediato forse dal calcio. Come detto, però, è un ambito ancora in piena evoluzione.

• Emerge il riscontro della presenza, nei latticini, di valenze salutistiche legate a specifici componenti, che ne ampliano le possibilità di utilizzo.

• I benefici effetti sullo stato di salute, rilevati con il consumo di latte e latticini fin dall’infanzia, con ripercussioni positive fino alla terza e quarta età, accanto ai riscontri di una positiva attività salutistica, esplicata direttamente in soggetti adulti ed anziani, ne consigliano il consumo a tutte le età.

• L’attuale revisione critica del ruolo dei grassi saturi nella nostra alimentazione suggerisce un’attenta rivalutazione proprio degli acidi grassi dei latticini, perché sembrano cadere le remore nei confronti di latte, yogurt e formaggi.

• Il contenuto in calcio, prescindendo dagli effetti negativi sull’insorgenza del tumore della prostata, peraltro non recentemente confermati, non contribuisce invece alla calcificazione delle coronarie.

• I riscontri degli effetti favorevoli esercitati da latte e derivati su diversi parametri sia metabolici (tolleranze glucidica, diabete, resistenza e risposta insulinica, iper- e displidemie, marcatori dell’infiammazione e dello stress ossidativo, peso corporeo) sia emodinamici (pressione arteriosa), sostengono l’opportunità di un loro consumo regolare. 

 

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Lunchbox

Il solito panino ha stancato. La pizzetta farcita e unta non toglie la fame e come se non bastasse ingrassa. La piadina dopo 3 giorni di fila che la mangi non é più così gustosa. Per non parlare dei pranzi in tavola calda o al ristorante, pesanti, calorici, soporiferi e a volte anche cari. Mangiare fuori ogni giorno durante gli orari di lavoro rappresenta spesso una soluzione obbligata, che però danneggia la qualità dell’alimentazione, il gusto, la linea e anche il portafogli. Quando si può quindi – in presenza di un’area di ristoro con forno per scaldare, ma anche avendo solo la possibilità di mangiare in ufficio – la soluzione ideale è quella di portarsi il pranzo da casa. Ecco perciò qualche suggerimento per mangiare bene a lavoro o a scuola ogni giorno.

RICETTE PER PRANZI IN UFFICIO

Ricette veloci da preparare e buone anche il giorno dopo, con un passaggio nel fornetto per scaldare, per un pranzo sano e goloso:

Spezzatino ai pinoli

bocconcini di vitello (spezzatino) kg 1 – zucchine a rondelle g 600 – pinoli g 40 – paprica dolce – aglio – brodo vegetale – olio extravergine – sale – pepe

Condite lo spezzatino con abbondante paprica, poi rosolatelo in una casseruola, a fuoco vivo, con un velo d’olio. Togliete la carne, aggiungete un filo d’olio nel fondo di cottura e trifolatevi le zucchine con uno spicchio d’aglio e i pinoli. Unite nuovamente lo spezzatino e, appena il tutto riprende a sfrigolare, bagnate con g 300 di brodo; salate, pepate e fate stufare per circa un’ora: alla fine la carne dovrà essere tenera e lo spezzatino piuttosto asciutto

Pollo e grano in insalata

riso e grano g 350 – petto di pollo g 350 – un peperone rosso e uno verde – aglio – limone – zafferano – basilico – rosmarino – menta – olio extravergine di oliva – sale – pepe

Arrostite i peperoni su una bistecchiera o in forno. Cuocete il riso e il grano in acqua bollente, salata e con una puntina di zafferano. Scolateli, passateli sotto l’acqua corrente e lasciateli raffreddare. Tagliate a pezzetti il petto di pollo. Scaldate 2 cucchiaiate d’olio in una padella antiaderente e aromatizzate con uno spicchio d’aglio e un rametto di rosmarino. Rosolatevi il pollo. Salatelo, pepatelo, finite di cuocerlo, quindi eliminate l’aglio. Mondate, private della pelle e tagliate a quadrotti i peperoni Condite i cereali, ormai freddi, con 2 cucchiai d’olio, il succo di mezzo limone, un trito di menta e basilico, pepe, il pollo e le verdure

Insalata di riso e verdure

4 pomodori g 400 – riso g 250 – cipollotto mondato g 75 – zucchina g 70 – peperone g 70 pinoli g 20 – 24 olive snocciolate – basilico – olio extravergine – sale – pepeTostate il riso in un velo d’olio, copritelo con mezzo litro d’acqua, salatelo e fatelo cuocere, senza mescolare, finché l’acqua sarà stata assorbita. Ungete d’olio la zucchina a fette, la falda di peperone e il cipollotto tagliato a metà per il lungo; grigliate le verdure, quindi riducetele a dadini da mescolare con il riso cotto, 2 cucchiaiate d’olio, sale e pepe. Condite con una salsa ottenuta tritando le olive, i pinoli e abbondante basilico, il tutto stemperato con 4 cucchiaiate d’olio e una di acqua

 

Quiche con ricotta e rucola

pasta frolla pronta, non salata, g 300 – latte g 250 – ricotta al forno g 120 – 3 uova – burro – un mazzetto di rucola – cipolla – noce moscata – farina bianca – sale

Stendete la pasta sulla spianatoia infarinata e usatela per foderare 6 stampi per tartellette, leggermente imburrati e con il fondo coperto da un dischetto di carta da forno. Riempitele di fagioli secchi e infornatele a 180 °C per 7 min. Affettate intanto mezza cipolla e fatela appassire con una noce di burro. Togliete le tartellette dal forno ed eliminate i fagioli. Mettete sul fondo di ognuna un po’ di cipolla. Proseguite con la ricotta a dadini e con la rucola a striscioline. Battete in una ciotola le uova con il latte, noce moscata e un pizzico di sale. Versate i l composto nelle tartellette. Ripassatele nel forno a 180 °C e finite di cuocere le piccole quiche per altri 15 minuti

Parmigiana di zucca

polpa di zucca g 400 – besciamella g 400 – scarola g 350 – cipolle g 200 – Emmental g 170 – panna fresca g 50 – parmigiano grattugiato – olio extravergine di oliva – sale – pepe bianco in grani

Sbucciate le cipolle, tagliatele a rondelle spesse e sistematele su una placca coperta con un foglio di carta da forno. Riducete a fettine la polpa di zucca, appoggiatela sulla placca con le cipolle, condite tutto con sale, un filo d’olio e infornate a 180°C per 20 min circa. Sminuzzate la scarola e stufatela, coperta, per 10 min, con olio, sale e pepe. Grattugiate l’Emmental a filetti; mescolate la besciamella con la panna, poi versatene un dito in una pirofila rotonda che va poi riempita con le verdure disposte a strati alternati con besciamella e parmigiano grattugiato. Passate la preparazione in forno caldo a 180°C per circa 30 min

 

Torta salata con zucchine e provola
provola affumicata g 300 – pasta brisée stesa g 200 – una confezione di zucchine condite sottovuoto g 125 – un uovo – farina – prezzemolo – latte – sale – pepe
Foderate uno stampo per crostate con la pasta brisée. Tagliate a cubetti il formaggio. Riempite la torta con i dadini, mischiati con le zucchine. Mescolate in una ciotola l’uovo con 2 cucchiai di farina, un pizzico di sale e uno di pepe. Diluite il tutto con tanto latte quanto ne occorre per ottenere una pastella. Lavoratela finché sarà liscia e senza grumi. Versatela sul ripieno distribuendola in modo uniforme. Pennellate i bordi della torta salata con un po’ di latte e cospargete il ripieno con prezzemolo tritato. Infornate a 200 °C per circa 30 min
CONSIGLI PER PRANZI IN UFFICIO
Mangiare sul posto di lavoro può essere gratificante quasi come mangiare in casa a patto di:

  • non consumare il pranzo davanti al pc o sul tavolo di lavoro, ma trovare un luogo differente, meglio se in compagnia o all’aria aperta, in modo da staccare completamente per un po’
  • essere ben attrezzate: tovaglietta colorata, posate, lunch box di colori allegri, e cibi variopinti, che comprendano non solo un piatto forte ma anche contorno, frutta o un piccolo dolce ogni tanto, o uno yogurt e delle bevande come succhi, latte, caffè o tè, oltre naturalmente all’acqua
  • evitare cibi preconfezionati (zuppe, cotolette panate, polpette, patate e altri piatti pronti) il più possibile. E’ meglio cucinare tutto prima e poi congelarlo piuttosto che abusare di cibi precotti
  • alternare primi piatti e secondi anche in funzione di quello che mangerete a cena o nei giorni seguenti
  • se potete permettervi di scaldare il pasto, puntare a veri piatti unici completi, come zuppe o riso con verdure e legumi, o un’insalata con verdure cotte e carne o pesce
  • usate contenitori ermetici appositi, termos e posate in metallo oppure i bento giapponesi, e trasportate tutto in apposite borsette termiche
  • alternate la pasta al riso al cous cous alle zuppe di legumi, consumando un primo o un secondo con verdure. Non dimenticate un paio di spuntini a base di frutta fresca o secca o yogurt

 

 

dal sito www.pianetadonna.it

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Cibi sotto l’ombrellone

Niente lasagne, parmigiane o panini con la cotoletta: il pranzo in spiaggia non deve solo essere gustoso, ma anche salutare. Se è vero che con il caldo estivo non è consigliato consumare alimenti pesanti, è anche vero che l’organismo ha comunque bisogno di “benzina” sotto forma di cibi energetici. Non è facile scegliere cosa mangiare sotto l’ombrellone; gli alimenti infatti, devono essere comodi da trasportare, semplici da consumare e facili da digerire, ma armandosi di fantasia e una borsa termica, si possono gustare piatti veloci e nutrienti anche sotto l’ombrellone.

Insalate, sandwich e piatti freddi sono tre pasti ideali per essere consumati tra un tuffo in acqua e una passeggiata in riva al mare: sono veloci, freschi e leggeri, sempre che siano preparati con gli ingredienti giusti. Per i panini per esempio, l’affettato con cui farcirli deve essere magro come prosciutto crudo, cotto o bresaola. L’insalata non è solo di verdura: c’è quella di pasta o di riso, un must del pranzo in spiaggia, o quella di polpo, per i palati più raffinati, arricchita con un tripudio di verdure lesse.

Per variare un po’, si può provare a preparare una ricetta alternativa: un cous cous di mare con gamberetti, vongole e alici. Il tutto facendo sempre attenzione a bilanciare i nutrienti e non esagerare con i condimenti, che possono rendere la digestione difficile quando fa troppo caldo. Alla frutta, ovviamente, non c’è limite. Albicocche, melone, anguria o pesche si possono consumare non solo a fine pasto, ma anche come spuntino per “spezzare” la fame. Al caffè, alla menta o al cioccolato: i più golosi possono affondare la cannuccia in una gustosa e fresca granita.

 

dal sito www.repubblica.it

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Il cromo

Questo oligoelemento che aiuta il metabolismo è un alleato per smaltire i chili in più: ecco la dieta che ne riequilibra le riserve e regala nuovo sprint

Come agisce

Il cromo è importante per tutti coloro che fanno attenzione al peso e vogliono perderne, perché svolge il ruolo più importante nel metabolismo degli zuccheri (o glucidi). Il cromo ha un effetto particolare nei confronti dell’insulina, l’ormone responsabile della penetrazione dello zucchero nelle cellule del corpo umano: la attiva e favorisce l’assimilazione degli zuccheri ed il metabolismo dei grassi, ma soprattutto combatte l’eccesso di peso! Intervenendo sul metabolismo dei grassi, il cromo è in grado di ridurre il tasso di colesterolo nel sangue e di prevenire i problemi cardiovascolari.

Quando è utile

Sono tante le situazioni che possono far pensare ad una carenza di cromo. Fra le più comuni troviamo:

– grande stanchezza durante il giorno
– piccoli e grandi disturbi nervosi e psichici,
– perdita o un accumulo di peso improvvisi,
– stress prolungato, infezioni acute,
– traumi fisici
– disturbi nel metabolismo degli zuccheri che conducono a squilibri importanti.

Se non è immediato valutare in modo certo un’eventuale carenza di cromo, è semplice porvi rimedio o prevenirla in modo semplice ed efficace. Basta ricorrere a certi alimenti che ne sono ricchi.

Dove trovare il cromo nel menu quotidiano

Il lievito di birra ne è ricco, ma anche i cereali integrali permettono una buona assimilazione del cromo che contengono. Chi deve riportare i valori di cromo ad un livello accettabile, deve consumare questi cibi:

lievito di birra, cereali biologici integrali, germogli che derivano dai cereali, asparagi, broccoli, frutti di mare, tuorlo dell’uovo,  germe di grano, funghi, barbabietola, cipolla, mais, birra, fegato di manzo, rognoni, nocciole, prugne, patate, formaggi, timo, pepe nero (senza eccedere nelle quantità)

Se ci alimentiamo così il nostro corpo riuscirà a regolarizzare l’assimilazione dei glucidi, a ridurre il bisogno di consumare zuccheri e a placare la fame.

Dal sito www.riza.it

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L’interruttore dell’obesità

L’obesità è una vera e propria malattia classificata come ‘cronica’: in Europa interessa 150 milioni di adulti e la sua incidenza è in costante aumento. E può facilitare l’insorgere di altre gravi patologie quali il diabete o l’ipertensione, malattie cardiovascolari, stati d’ansia e persino tumori.

Secondo un recente studio dell’Endocannabinoid Research Group (Erg) dell’Istituto di cibernetica ‘Eduardo Caianiello’ (Icib) e dell’Istituto di chimica biomolecolare (Icb) del Cnr di Pozzuoli la condizione di obesità è accompagnata da un’alterazione delle connessioni sinaptiche del sistema nervoso che interessano in particolare i neuroni ‘orexinergici’, responsabili della regolazione dell’appetito e del sonno. Comprendere i meccanismi alla base di queste alterazioni può quindi avere importanti ricadute applicative per lo sviluppo di nuovi farmaci contro l’obesità.

La ricerca è stata pubblicata sui ‘Proceedings of the National Academy of Sciences’: “Il senso di fame o, viceversa, quello di sazietà sono regolati da specifici ormoni quali l’orexina – un ormone che spinge il corpo a mangiare e in generale ad assumere comportamenti legati alla ricerca di cibo – e la leptina, che invece comunica al cervello che l’apporto di cibo è stato sufficiente”, spiegano Luigia Cristinodell’Icib-Cnr e Vincenzo Di Marzo dell’Icb-Cnr, autori della ricerca. “Quello che accade nei soggetti obesi, tuttavia, è che il tessuto adiposo in eccesso produce quantità maggiori di leptina, fino al punto che il cervello sviluppa una vera e propria ‘resistenza’ a essa, fenomeno alla base del circolo vizioso per cui si continua a mangiare, e si ingrassa perché la comunicazione tra periferia e cervello è interrotta”.

Oggetto dello studio, condotto in collaborazione con neuroscienziati dell’università di Verona, è stato in particolare quello di comprendere le alterazioni dei meccanismi di controllo dei neuroni contenenti orexina, esplorando le basi del sistema endocannabinoide dell’ipotalamo, che regola la trasmissione dei segnali di controllo dell’appetito. “Abbiamo confrontato l’attività dei neuroni che producono orexina in topi normopeso e obesi, rilevando che, in questi ultimi, si attiva maggiormente un particolare recettore cannabinoide che provoca un incremento del rilascio di orexina”, proseguono i ricercatori. L’aumento dei livelli dell’ormone sarebbe una delle conseguenze della resistenza alla leptina, e concorrerebbe all’aumento dell’appetito, del peso corporeo e ad alcune disfunzioni ormonali tipiche dell’obesità.

Lo studio apre interessanti prospettive farmacologiche: gli autori hanno infatti dimostrato che anche determinate patologie legate all’obesità quali ipertensione, cardiopatie, ansia e insonnia intermittente possono essere contrastate bloccando selettivamente i recettori dell’orexina.

Dal sito www.almanacco.cnr.it

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Fame e sazietà

Perchè mangiamo più del necessario?

Perchè mangiamo quello che mangiamo?

È cercando di rispondere a questa domanda che nutrizionisti e ricercatori hanno individuato nel corso degli anni i concetti di appetibilità e sazietà: due parole chiave importanti non solo per gli esperti, ma anche per chiunque desideri dimagrire in modo sano ed equilibrato.

Ogni dieta, infatti, non può prescindere dalla capacità di combinare i cibi in maniera tale da evitare il più possibile lo stimolo della fame. Molte diete teoriche falliscono proprio perchè sono irrealizzabili dal punto di vista della sazietà o dell’appetibilità dei cibi.
Cominciamo allora a capire di cosa si tratta.

La fame e la sazietà sono il risultato di processi fisiologici complessi. Segnali specifici, come ad esempio la carenza di nutrienti nel sangue o lo stomaco vuoto, generano la sensazione della fame che, a sua volta, regola il bisogno di mangiare. Con l’assunzione del cibo, si placa l’appetito mettendo fine all’occasione alimentare e determinando uno stato di assenza di fame, chiamato sazietà. L’equilibrio tra la fame, lo stimolo dell’appetito e l’assunzione della quantità di cibo necessaria a determinare la sazietà, è controllato dal sistema nervoso centrale.

Anche i macro-nutrienti, ossia i carboidrati, le proteine e i grassi, generano segnali di sazietà di varia intensità.

L’appetibilità, invece, è proporzionale al piacere che si prova quando si mangia un determinato alimento. Essa dipende dalle proprietà sensoriali del cibo come, ad esempio, il sapore. Si tratta di un parametro decisamente soggettivo, ma è vero anche che gli alimenti dolci e ricchi di grassi esercitano un’innegabile attrattiva sensoriale e suscitano in quasi tutti gratificanti effetti post-ingestione, che prendono il nome di “risposta di piacere”.

Basandosi sui concetti di sazietà ed appetibilità, è possibile suddividere il cibo in quattro macrocategorie:

Alimenti ad alta appetibilità e alta sazietà. Sono poveri di calorie ma ricchi di gusto, quindi generalmente molto amati. È il caso, ad esempio, della frutta estiva: anche mangiandone in abbondanza per appagare il piacere del palato, l’introito calorico resta ridotto.

Alimenti ad alta appetibilità e bassa sazietà. L’esempio tipico sono i dolci: l’indice di appetibilità in questi casi è massimo, 10 in una scala ipotetica. Viceversa l’indice di sazietà è bassissimo: prima di sentirsi sazi si possono introdurre anche migliaia di calorie.

Alimenti a bassa appetibilità e bassa sazietà. Sono alimenti che non attirano particolarmente il palato, e al tempo stesso sono ricchi di calorie ma poco sazianti. È il caso dell’olio e delle salse in genere, di cui molto difficilmente si fa indigestione.

Alimenti a bassa appetibilità e alta sazietà. Tipicamente si tratta delle verdure: generalmente sono poco amate, ma saziano in fretta per l’elevato contenuto di fibre, pur contenendo pochissime calorie.

Conoscere gli indici di sazietà ed appetibilità dei vari alimenti è importante per gestire al meglio il bilancio calorico della giornata ed evitare un sovrappiù di calorie rispetto al fabbisogno reale e quindi un aumento di peso.

SAPER RICONOSCERE GLI STIMOLI DI FAME E SAZIETA’ E’ L’UNICO MODO PER GESTIRE IN MODO DEFINITIVO IL PROPRIO PESO CORPOREO.